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Assoluzione

La voce di Nico aleggiava ancora nell’aria. Quel discorso — semplice, diretto, necessario — aveva spento per un attimo la paura. Ma non bastava.

Perché la fiducia, una volta incrinata, non si ricostruisce con le parole. Servono i fatti.

Erano passati giorni. Giorni lunghi, tesi, in cui nessuno parlava del “terzo” ma tutti lo cercavano con lo sguardo. Ogni nuovo arrivo veniva scrutato. Ogni silenzio, pesato. Elyas si era integrato alla perfezione. Forse troppo. Ma Lyra si fidava. Si fidava davvero. Non c’erano dubbi nei suoi occhi quando lo vedeva arrivare, né esitazioni nei gesti. Era come se Elyas fosse riuscito a fare breccia dove tutto il resto aveva fallito. Una cura, una pausa. L’unico che riusciva a farle abbassare le difese.

Poi arrivò la convocazione.

Fu il primo comunicato firmato collettivamente da tre membri del Consiglio Operativo. Non da Eloise. Non da Lyra. Ma da chi restava. Una decisione necessaria, forse tardiva, ma chiara:

"Convocazione ufficiale n. 005
Nome: Luan Vargo
Capo dei Servizi Idrici
Tempo per rispondere: 36 ore

Il Tribunale aprirà una nuova sessione pubblica. Il caso di Luan Vargo sarà discusso con accesso ai dati completi. Il diritto alla parola e alla prova è garantito."

La sala trasmissioni principale si preparava. Il primo processo da quando Eloise era entrata in coma. La prima trasmissione ufficiale a livello globale dopo l’attentato.

Un uomo sedeva al centro della piattaforma: capelli grigi, giacca lisa, sguardo spento ma non spezzato. Si chiamava Luan Vargo. Era stato a capo dei servizi idrici di una regione del nord, accusato pubblicamente di aver deviato i fondi per la manutenzione degli acquedotti e, di conseguenza, causato una contaminazione che aveva lasciato migliaia di persone senza acqua potabile.

Il pubblico lo conosceva: c’erano immagini di lui in abiti eleganti, sorridente accanto a funzionari noti. I titoli dei notiziari lo avevano già condannato: "Tecnocrate del disastro", "L’amico dei corrotti".

Eppure, mentre il processo cominciava, qualcosa stonava.

Le prime domande furono taglienti.

"Signor Vargo, dov’era nei giorni immediatamente successivi al disastro idrico?" "Come spiega l’assenza di manutenzione documentata nei rapporti ufficiali?" "È vero che ha partecipato a tre cene con rappresentanti della GreenFluids?"

Ogni parola sembrava un colpo. Ogni sguardo, un giudizio.

Poi fu il momento dei testimoni.

La prima testimone era una giovane donna, ex segretaria amministrativa del distretto. Aveva gli occhi bassi, la voce incerta.

"So solo che... dopo che Vargo si è rifiutato di firmare l'accordo con la GreenFluids, le cose hanno iniziato a peggiorare. Prima i tagli. Poi i controlli. Poi le minacce."

"Minacce? Di che tipo?" chiese uno dei membri del Tribunale.

"Una volta trovò una tanica d’acqua contaminata sul cofano della macchina. Una settimana dopo, qualcuno gli lasciò una lettera: 'Firma, o sei tu che sparirai'."

Mormorii. Sguardi. Ma ancora non bastava.

Un altro testimone, un tecnico della manutenzione, parlò di ordini strani, fondi bloccati, e rapporti "persi" da un giorno all’altro. Nessuno accusava direttamente, ma tutto tracciava un disegno inquietante.

Quando fu il turno di Vargo, si alzò lentamente. Nessuna arroganza, nessun tono accusatorio. Solo fermezza.

"Non ho mai deviato un centesimo. Ma sì, ho fatto registrazioni. Non perché mi aspettassi giustizia. Ma perché sapevo che la verità, da sola, non basta più."

Prese dalla tasca una memoria esterna. Nico la caricò nel sistema.

Video. Audio. Una sequenza ordinata di conversazioni: dirigenti che ridevano delle sanzioni, che parlavano apertamente di "neutralizzare" Vargo. Una voce — identificata come quella del responsabile della GreenFluids — che diceva:

"O firma, o si fa il funerale. E nessuno chiederà perché."

Seguivano fotografie. Documenti. Rapporti nascosti. Lettere minatorie con impronte digitali. Registrazioni audio in cui si prometteva di rovinarlo se non avesse collaborato. Tutto archiviato con cura. Tutto datato. Inoppugnabile.

Il silenzio, nella sala, divenne pesante. Anche le trasmissioni globali rallentarono. I commenti in diretta presero un'altra piega.

Alla fine, fu Nico a parlare, dal terminale di controllo.

"Non solo innocente. Ma onesto. Più di quanto molti abbiano mai osato essere."

Il verdetto arrivò pochi minuti dopo.

Assolto. Riabilitato. Applaudito.

Un flusso di commenti si accese in tempo reale sulla rete globale. Alcuni si scusavano. Altri ammettevano di aver giudicato troppo in fretta. Qualcuno — pochi — si chiedeva quanto ancora fosse nascosto tra le pieghe del silenzio.

Lyra rimase immobile. Ma dentro di lei, qualcosa si sciolse.

Il Tribunale poteva ancora funzionare. Non solo per condannare.

Ma per riparare.