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La notte non basta

Il vento fischiava tra le montagne.
Il rifugio non aveva nome.
Solo coordinate dimenticate su una mappa logorata dal tempo.
Un ex magazzino militare riconvertito alla meno peggio, scavato nella roccia viva, a tre chilometri dal punto più vicino raggiungibile da un drone.

Là dentro, anche se caduto il Tribunale respirava ancora. A fatica. Ma respirava.

Il pavimento era freddo. I muri impregnati di umidità. Il generatore gracchiava come un animale ferito. Ma nessuno si lamentava. Nessuno parlava.
Non ancora.

Lyra sedeva per terra, la schiena contro una cassa vuota. Il sangue si era seccato sulla guancia, lasciando una linea scura che non aveva avuto voglia di pulire. Guardava Eloise, che riposava poco distante, su un materasso d’emergenza. Il respiro lento, ma presente. Ogni tanto apriva gli occhi. E li richiudeva. Ma c’era.

Viva.

Vicino al terminale portatile, Nico armeggiava da ore. Occhiaie profonde, mani tremanti, ma una concentrazione ostinata che sembrava sfidare la stanchezza stessa. Cercava qualcosa che nessuno aveva il coraggio di nominare: speranza.

Poi accadde.

Un vecchio dispositivo scollegato dalla rete, alimentato da una batteria indipendente — apparve una finestra di comando. Un prompt. Breve. Pulsante.

Un semplice prompt, in bianco su nero.

Nico lo vide, impallidì. Poi digitò con calma. Prima una sequenza. Poi un’altra. Quattro cartelle si aprirono. Una dopo l’altra. Backup 01. Backup 02. Backup 02.B. Backup 02.B_mirroring_OBSCURE.


Lyra sollevò un sopracciglio.
“Avevi un piano di riserva del piano di riserva?”
“Più che altro,” mormorò Nico, “non mi fido neanche di me stesso.”

La trasmissione fu breve. Essenziale. Solo testo, nessuna immagine, nessun flusso tracciabile.

“Siamo ancora qui.”

Nulla di più. Nessun logo. Nessun nome.

Solo le parole che contavano.
Poi il silenzio. La rete tornò invisibile. Dormiente. Ma viva.

Lyra lo lesse. Due volte. Poi sentì qualcosa muoversi dentro di sé. Non era sollievo. Né gioia.
Era qualcosa di più essenziale. Come l’ossigeno dopo un’apnea troppo lunga.

“L’hai salvato,” disse, a bassa voce.

Nico la guardò. “Il sistema?”

“No. Il cuore.”


Quella notte — o quel che ne restava — fu fatta di ombre e silenzi.

E di cose da dire.

All’improvviso, lo spazio tra loro non era più tattico. Era intimo. Necessario.

Eloise parlò per prima.

“Credevo che non ce l’avremmo fatta.”

La sua voce era roca, ma stabile.

“Quando ho sentito la voce della Strega, e poi il buio… ho pensato che fosse finita. Non in senso metaforico. Proprio finita. E invece…”

“Non so se ce l’abbiamo fatta,” disse Nico. “Ma ci siamo. E questo vale qualcosa.”

Lyra si passò una mano tra i capelli impolverati. Poi si chinò leggermente verso di loro.
“Devo dirvelo. A entrambi. Grazie.”

Eloise la fissò. “Non devi ringraziarci, tu ci hai salvati più volte di quanto possiamo contarle.”

“Sì, invece. Quando ho scelto di fidarmi di Elyas… non l’ho fatto perché era convincente. L’ho fatto perché volevo qualcuno che si prendesse cura di tutto, al posto mio. Ho mollato il peso. E vi ho messo in pericolo.”

Nico, con un’espressione più morbida del solito, sospirò. “Io ho dubitato di te. Per un attimo. Ero arrabbiato, Lyra…” cominciò Nico.

“No,” lo interruppe. “Fammi finire. Voi due avete retto quando io non vedevo più chiaro. Mi avete riportata indietro. E mi avete fatto restare viva. Se non mi avessi richiamata...”

“Tu hai capito da sola,” la interruppe lui. “Io ho solo fatto rumore. Come sempre.”

Per un attimo, risero. Quasi piano. Quasi increduli.

Poi si fece un silenzio strano. Non pesante. Ma pieno.

Nico si alzò in piedi. Fece qualche passo. Guardò il soffitto.

“Anche io ho fatto cazzate,” disse. “Mi sono chiuso. Ho dubitato. Ho reagito a istinto. Ma… quando ti ho sentito rispondere all’allarme, Lyra, quando ti ho sentita viva… non so… ho capito che qualunque cosa succeda, non posso più farlo da solo.”

Si voltò verso di loro.

“Questo Tribunale siamo noi tre. Lo è sempre stato.”

Eloise si mise a sedere, lentamente.
“Siamo la memoria viva. Non importa se ci spezzano tutto. Finché ci siamo noi, possono spegnerci mille volte. Ma non ci cancellano.”

Lyra annuì. “E adesso tocca a noi. La Strega ha fatto il suo gioco. Ha tolto vite. Ha distrutto nodi, dati, case. Ha colpito per paura.”

“E ci ha fatto male,” aggiunse Nico.

“Ma ha commesso un errore,” disse Eloise. “Ci ha sottovalutati.”


Le ore successive furono febbrili.

Nico lavorava come un automa, incrociando vecchie reti secondarie, sondando frequenze radio criptate. Eloise recuperava dati danneggiati, isolava tracce, analizzava pattern di attacco. Lyra inviava messaggi in codice ai superstiti, ai nodi silenti, ai tecnici sparsi che ancora credevano nella rete.

Ma la Strega era un fantasma.

Ogni rotta portava a un punto morto. Ogni nome, un alias. Ogni accesso, un’ombra.

“È protetta,” disse Nico, alzando lo sguardo. “Da qualcuno molto in alto. Qualcuno che non vuole che venga toccata.”

“E allora dobbiamo toglierle la protezione,” rispose Lyra. “Scardinarla. Pubblicare tutto.”

“Non basta,” disse Eloise. “Questa volta, deve finire in galera. Deve pagare per ogni morte, ogni attentato, ogni codice rotto. O non cambierà mai niente.”

Nico si massaggiò le tempie. “Sì. Ma per beccarla… ci servirebbe un miracolo.”

Silenzio.

Poi — un bip.

Uno solo.

Sul terminale secondario apparve una finestra.

Nessun indirizzo. Nessun server. Solo testo.

“Se davvero volete incastrarla, ho qualcosa da mostrarvi.”

Nessuna firma.

Solo una stringa di coordinate. E un file criptato. Ancora chiuso.

Lyra si avvicinò. Si chinò sullo schermo.

E lo lesse una seconda volta. Poi una terza. Come se cercasse una bugia nei pixel.

“È una trappola?” chiese Nico, a bassa voce.

“Forse,” disse Eloise. “Ma se non è una trappola… è la chiave.”

Lyra non rispose subito.

Poi, con un respiro lento, disse solo:

“Prepariamoci.”