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Le cose che restano

Il giorno dell’udienza si avvicinava, ma per Lyra il tempo sembrava andare al contrario. Ogni ora era un ritorno. Ogni silenzio, un’eco. La miniera era immersa in una calma irreale. Ma nella sua mente, il rumore non si fermava.

Eira.

Il suo nome tornava come un battito irregolare.

Elyas le stava accanto. Silenzioso, presente, concreto. Non diceva nulla, ma sapeva quando esserci. Una sera la trovò nel deposito dati, davanti a un vecchio lettore portatile. Non lo usavano più da anni, ma lei aveva caricato un frammento video.

Due voci. Poi le risate. Una più acuta, l’altra trattenuta. Due sorelle, ancora ignare del tempo che correva via. Poi una corsa in bicicletta, uno schermo traballante e un urlo gioioso:
“Aspettami!”

Lyra spense il video prima della fine.

Quella notte, Lyra non dormì. Né quella dopo.

**
Due bambine piene di energia, un sacchetto di farina rubato alla dispensa e un piano “geniale”: trasformare il corridoio in una pista di pattinaggio.
“Scivola meglio se ce ne mettiamo tanta, giusto?”
Lyra rideva mentre cercava di fermare Eira, ma fu lei a cadere per prima. Le risate fecero eco per minuti, finché un adulto non entrò. Punizione assicurata. Ma quel giorno impararono che le cose più belle nascono a volte dalle idee più stupide.

**

Un tempo, erano due bambine in cerca di guai. Una volta, avevano rubato i gessetti dalla scuola per disegnare un drago lungo il marciapiede. Finì che lo cancellarono a secchiate, ma Eira, con le mani sporche di polvere blu, urlava:
— “Se cancelli un drago, poi ti torna in sogno!”

Lyra rise per ore. Erano inseparabili. Lei la proteggeva, Eira provocava il mondo.

**
Avevano dieci e dodici anni. Un ragazzo più grande aveva preso a calci un cane fuori dal mercato. Tutti tacevano. Eira no. Era intervenuta, aveva urlato, colpito.
Lyra le si era messa davanti, tremando.
— “Basta, Eira. Ti fai ammazzare per un cane?”
— “No. Mi faccio ammazzare perché nessuno dice mai niente.”
Da allora, Lyra aveva capito. Eira era un fiammifero acceso in un bosco secco. Bella, ma pericolosa.

**

Una volta, durante una distribuzione razionata di acqua, vide un uomo barare. Lo affrontò davanti a tutti. Aveva tredici anni, lui almeno cinquanta. Lyra la prese per un braccio e la trascinò via con forza.

— “Se continui così ti metti nei guai veri,” sussurrò.

Eira si divincolò.
— “Se nessuno li guarda negli occhi, penseranno che possono tutto.”

Era sempre stata così, Eira. Incendiaria e limpida. Lucida e pericolosa.

**

Era sera, una luce bassa filtrava dalla finestra rotta del rifugio. Eira armeggiava con un datapad, cercando di decriptare file rubati a un funzionario della difesa.

— “Non puoi continuare,” disse Lyra. “Non sei sola. E se ti prendono...”

Eira la guardò. Occhi chiari, duri.
— “Se molliamo, è come dire che hanno ragione.”

Lyra le si avvicinò.
— “Allora aspetta. Almeno aspetta. Lascia che cerchi un modo più... sicuro.”

Ma Eira non aspettava. Mai.

Quella notte, Eira le aveva lasciato una nota piegata sul tavolo.
“Se non torno, non lasciare che diventi polvere.”
Poi era uscita. E non tornò mai più.

Il messaggio arrivò pochi giorni dopo:

Oggetto: Decesso confermato – Unità civile E.M.
Causa: Evento accidentale non riconducibile a responsabilità dirette.
Status: chiuso. Nessuna inchiesta prevista.

Nessun nome. Nessun volto. Solo un acronimo. Come se Eira non fosse mai esistita.

Lyra spaccò un terminale con un pugno.
Poi sparì.

Lyra si chiuse per mesi in un vuoto fatto di silenzio, rabbia e notti senza respiro. Poi comprò un manuale. Poi un altro. Poi un sacco da boxe. Poi trovò un maestro.

Studiò. Ogni giorno. Ogni livido. Ogni colpo ben piazzato.
Non avrebbe più perso nessuno. Mai più.
Il kung-fu divenne disciplina. Respiro. Scelta.

Per due anni, visse lontano. Senza rete. Senza contatti. Dormiva in rifugi improvvisati, raccoglieva informazioni, cercava nomi, indizi, tracce. Ma ogni porta si chiudeva. I dati scomparivano. I testimoni sparivano o mentivano.

Nel frattempo, continuava a studiare. Con rabbia, con disciplina. Kung-fu, autodifesa, controllo del respiro. Ogni gesto un modo per trattenere il caos.
“Se non posso salvare chi amo con le parole, lo farò con il corpo. Con la mente. Con ogni fibra.”
Non per vendetta. Perché nessun altro finisca così.

Scoprì che i file esistevano. Ma erano protetti da livelli di crittografia che solo enti governativi potevano usare. Scoprì che l’ordine di attacco era stato “deviato” da una centrale non tracciabile. Che i responsabili esistevano, ma nessuno avrebbe mai pagato.

Fu una sconfitta totale. Ma anche una fiamma.
Fu allora che incontrò Nico.

 

**

Lui stava parlando da solo, seduto su una panchina davanti a un server che aveva preso fuoco. Lo stava riprogrammando con una mano ustionata.

— “Il sistema è marcio. Ma la memoria… quella è nostra. Finché la raccontiamo, non ci spegneranno.”

Lyra lo ascoltò in silenzio.

— “E se li costringessimo a rispondere? Davanti a tutti. In diretta. A voce alta.”

Lyra sollevò lo sguardo.
— “Chi giudica?”

Nico sorrise.
— “Chi ha perso qualcosa. Chi ha il coraggio di restare.”

E Lyra capì che anche lui aveva perso qualcuno.

Fu lì che nacque il Tribunale.
Non per riscrivere le leggi.
Per rompere il silenzio.

**

Quando nella miniera apparve il messaggio —
“Sessione confermata: Caso Lyra M. / Giustizia per Eira”
— Lyra sentì qualcosa farsi strada nella gola. Non era paura.
Era l’eco di una promessa.

Elyas si avvicinò, come sempre, senza dire nulla. Le appoggiò una mano sulla spalla.

Lei non lo guardò. Ma disse, piano:
— “Pensavo che non sarebbe mai arrivato.”

Lui fece un cenno.
— “Allora prepariamoci a farlo bene.”

E questa volta, Lyra non strinse i pugni.
Li aprì.