Semi nel cemento
Una giovane donna con una bambina al seguito. Un ex militare. Un ingegnere senza lavoro. Volti segnati, ma lucidi. Avevano visto. Avevano capito. E ora volevano agire.
Il portone della biblioteca si aprì cigolando. Nessuno parlò. Nessuno chiese il permesso. Lyra li guardò entrare uno per uno. Non c’erano slogan, né proclami. Solo occhi determinati e mani vuote, pronte a lavorare.
Nico fu il primo a rompere il silenzio. "Sapete dove siete?"
L’ex militare, un uomo con la barba incolta e lo sguardo da chi ha visto troppo, annuì. "Sì. E sappiamo cosa avete fatto stanotte."
La giovane madre strinse la bambina al petto. "E non siamo qui per giudicare. Siamo qui perché è la prima volta in vita nostra che qualcuno ha chiesto conto ai colpevoli."
Lyra si alzò, facendo scivolare via una coperta dalle spalle. "Questo posto non è sicuro. Non lo sarà mai davvero."
"Nemmeno là fuori lo è più," rispose l’ingegnere. "Ma qui si può costruire qualcosa. Anche se è solo un’idea."
Passarono ore senza che nessuno se ne rendesse conto. Si formarono gruppi. Si condivisero competenze. Le stampanti 3D vennero riattivate. I pannelli solari del tetto ripuliti. Le vecchie antenne, riallineate. Persino il vecchio generatore diesel, arrugginito e sepolto sotto assi di legno, venne rimesso in funzione con pezzi di fortuna.
Nel seminterrato, Lyra e Nico riattivarono il secondo server. Il backup dell’archivio. Quello destinato ai futuri convocati. L’eco della prima trasmissione non si era ancora spenta e già nuove richieste di giustizia affluivano: nomi, documenti, testimonianze. Il mondo aveva trovato una crepa nel silenzio, e ora voleva passarci dentro tutto ciò che aveva taciuto per anni.
Molti dei nuovi arrivati avevano esperienze insospettabili. Una giovane di origini persiane si rivelò un’ex sviluppatrice di sistemi crittografici. Un uomo di mezza età, taciturno, parlava sei lingue e aveva lavorato per anni come interprete nei corridoi delle Nazioni Unite. Altri non avevano titoli né storia, ma portavano idee, domande, forza.
Nico scrollava i dati su uno schermo. "Quattro milioni di accessi in un’ora. E continua a crescere. Ma non è solo curiosità. È fame."
"Fame di verità," disse Lyra. "O di vendetta. O di senso. È tutto mescolato, e va bene così. Non siamo più soli."
Al calare del pomeriggio, la biblioteca era diventata un alveare. Un gruppo si occupava della logistica: acqua, dormitori improvvisati, turni di sorveglianza. Un altro gruppo era già al lavoro su una mappa globale interattiva, segnalando i punti più oscuri della repressione, le zone d’ombra dell’informazione, le località da cui giungevano più segnalazioni.
Uno dei volontari, un ragazzino di quindici anni con un vecchio laptop rattoppato con nastro adesivo, trovò una vulnerabilità nella rete privata di uno dei Ministeri della Propaganda di un paese centroasiatico. Nessuno lo comandava. Nessuno glielo aveva chiesto. L’aveva fatto perché poteva. E questo bastava.
Nel seminterrato, Lyra aggiornava il manifesto etico del Tribunale: una semplice pagina di testo, visibile a tutti, modificabile da nessuno. Ogni frase veniva riletta tre volte. Ogni parola pesata. La neutralità era fragile, ma fondamentale. Non erano lì per vendette personali. Erano lì per rovesciare l’equilibrio della paura.
Quando calò la sera, qualcuno portò una lampada a olio nella sala principale. Nessuna luce elettrica: solo fiamme e silenzio. Tutti si riunirono in cerchio. Fu allora che Lyra parlò per la prima volta da quando erano arrivati.
"Questo non è un rifugio. È un seme. E se siamo fortunati, il cemento non sarà troppo spesso."
Nico le lanciò uno sguardo. "Hai in mente già il prossimo nome?"
Lei annuì lentamente. "Una donna. Una ministra delle comunicazioni. Ha fatto sparire intere voci dissidenti. E i bambini di Blocco 4 la chiamano la Strega del Silenzio."
Ci fu un mormorio. Poi un lungo respiro collettivo. Il secondo processo sarebbe stato più difficile. Più studiato. Ma anche più atteso.
Quella notte nessuno dormì davvero. Qualcuno vegliava per sicurezza. Altri perché avevano trovato un senso. E altri ancora perché, per la prima volta, avevano qualcosa in cui credere.
La gente era pronta. Il tribunale non era più un’idea isolata. Stava diventando un movimento.